martedì 26 agosto 2008

Cosa Distrusse Sodoma e Gomorra

Nessuno scienziato ha mai spiegato in modo sufficiente l'esistenza dei tectiti, strani globuli di roccia radioattiva, di aspetto vetroso, che si possono trovare nel Libano. secondo una teoria avanzata dal Dottor Ralph Stair, dell' Ufficio nazionale pesi e misure degli Stati Uniti, è possibile che i teciti siano giunti da un pianeta distrutto, i cui frammenti ora orbitano fra Marte e Giove formando ora una scia di asteroidi. Un altra ancora più inquietante teoria è stata proposta da un matematico sovietico, il Professor Agrest. Secondo Agrest, la composizione dei tectiti presuppone l'azione di temperature estremamente elevate oltre a quella della radiazione nucleare. Egli sapeva che all' epoca che nessun ordigno nucleare era stato fatto esplodere nel Libano ma non si poteva escludereche la conflagrazione fosse successa in epoca biblica. Nelle pergamene del Mar Morto esisteva, dopo tutto questa strana descrizione della distruzione di Sodoma e Gomorra: "Una colonna di fumo e di ceneri ascese nell'aria come una colonna di fumo scaturita dalle viscere della terra. Una colonna di zolfo e fuoco distrusse le due città, e l'intera pianura e tutti gli abitanti e ogni pianta. E la moglie di Lot si volse a guardare e fu trasformata in una colonna di sale". La colonna di fumo e di fuliggine fa pensare stranamente a un fungo atomico, sostiene Agret. Ma chi ai tempi biblici avrebbe potuto possedere delle armi nucleari? Per Agrest c'era una sola inevitabile conclusione: armi in grado di creare una simile distruzione potevano provenire soltanto dal cielo. Forse, egli suggerisce, noi siamo stati visitati da extraterrestri nel remoto passato, ma non lo sapremo mai con certezza finchè i tremendi segreti della struttura dei tectiti non saranno rivelati.

sabato 16 agosto 2008

L'altalena

Era il 16 dicembre del 1966, lavoravo come operaio addetto alla manutenzione presso una strada statale, e di tanto in tanto mi recavo in un paesino adiacente alla casa cantoniera datami come alloggio di servizio. Mi capitava d' incontrare spesso Giovanni, un vecchietto di circa 85 anni, con il quale avevo fatto amicizia, mentre eravamo seduti in una panchina della via principale del paese, intenti a parlare da un negozio usciva una signora vestita di nero con il volto triste, e lo sguardo basso, chiesi a Giovanni "conosci quella donna?" "si" egli rispose, chiesi "come mai è così triste sta male?" Giovanni disse, "si, sta male perchè quattro anni fa morì la figlia annegata in un deposito per l'acqua". A qualle parole rimasi turbato e cambiai discorso. Qualche anno dopo, mentre stavo uscendo di casa per andare a lavorare, tirai su le tapparelle spalancai la finestra della camera da letto che si affacciava nel giardino di un bar ristorante, e vidi una bambina di circa otto nove anni capelli lunghi lisci e scuri che rideva e si dondolava sull' altalena, rimasi colpito e dissi a me stesso, ma che genitori impridenti ha, la fanno andare in giro solo con quel vestitino e siamo in pieno inverno. Scesi nel parcheggio della mia auto, mi girai nuovamente in direzione del giardino, e notai che la bimba non c'era più. Lavorai tutta la mattina nella nebbia e con il freddo che mi paralizzava le dita arrivata l'ora di pranzo andai a casa pranzai e poi scesi al bar ristorante adiacente alla mia casa, chiesi alla titolare del locale " questa mattina prima di uscire ho aperto le finestre di casa, ho notato una bambina che giocava sull' altalena con addosso solo un vestitino a fiori" sentite le mie parole la signora sgranò gli occhi e mi guardò fisso per alcuni istanti, mi disse balbettando "sei sicuro? "si" risposi, ed iniziai a descriverla, quando mi accorsi che la donna aveva le lacrime agli occhi e mi disse "sai, quì attorno prima del paese ci sono solo tre case, un è la casa dove abiti tu, il mio bar, e la casa colonica dove un tempo abitavano dei contadini che nel periodo estivo adibivano uno dei loro magazzini per i mezzi del servizio antincendio, i quali avevano il compito di riempire un vascone per rifornire le autopompe d' acqua, fu proprio in quel vascone che la figlia di un contadino cadde a annegò." Da quel momento in poi non riuscii più ad entrare a casa mia, salutai il mio amico Giovanni senza però rivelare quanto mi era successo, chiesi a mio fratello di prendere le mie cose ed andai via, andai a vivere in un paese vicino, e tutte le volte che passavo da quelle parti per motivi di lavoro evitavo di far cadere lo sguardo in quel giardino.
Sergio da Sassari

giovedì 14 agosto 2008

PANAS

Abito in un piccolo paesino della Sardegna dove fin da piccolo ho sempre sentito raccontare storie di tutti i generi, naturalmente la maggior parte erano leggende tramandate di generazione in generazione si parlava di fate e anime che vagavano senza pace per le campagne. Una delle storie che più mi ha incuriosito è qualla delle "PANAS"Si narra che quando una donna moriva di parto diventava "Pana o lavandaia" e tornava temporaneamente fra i mortali con le stesse sembianze che aveva da viva.
La maledizione, inflitta dalla Morte stessa in quanto il decesso era
avvenuto in un momento particolare della loro esistenza considerato "impuro", consisteva nel lavare i panni del parto macchiati di sangue e le fasce della loro creatura, per un tempo che variava dai due ai sette anni. Le Panas potevano essere scorte lungo i ruscelli posti ai crocevia, fra l'una e le tre del mattino, mentre lavavano e cantavano una tristissima ninna-nanna. La condanna implicava l'assoluto divieto di parlare o di interrompere il lavoro, se questo accadeva, esse dovevano ricominciare daccapo il tempo della penitenza. Se venivano disturbate da qualcuno mentre erano intente a lavare, le Panas si vendicavano spruzzandogli addosso acqua, che però bruciava come fuoco. Per questo motivo le donne sarde non andavano mai a lavare i loro panni durante la notte e spesso le macchie sul viso, soprattutto di giovani donne, venivano spiegate come una vendetta delle Panas disturbate. Affinché la puerpera morta non diventasse lavandaia notturna, si usava metterle nella bara un ago con il filo senza nodo, un pezzo di tela, un paio di forbici, un pettine ed un ciuffo di capelli del marito.
Ciò affinche la defunta rimanesse occupata a cucire il corredo per il bambino e tralasciasse così di andare a lavare al fiume.
Si dice anche che tali oggetti servissero per dare alla defunta una scusa legittima da rispondere alle altre Panas, che la inviteranno a recarsi al fiume per lavare le fasce del lattante.
Le Panas le diranno:
"Comà, a benides?" (venite adesso?)
Ed essa risponderà:
"No no,chi so cosende (No sto cucendo) no chi so ispizzende a maridu meu." (no sto pettinando mio marito)